Suggestione e ipnosi da Bernheim a Freud

 

 

MONICA LANFREDINI & GIUSEPPE PERRELLA

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 06 febbraio 2021.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: SAGGIO BREVE]

 

Introduzione. La scorsa settimana, con il primo degli scritti originati quali esercitazioni della nostra società scientifica nel campo tematico della storia delle influenze interpersonali in medicina, il saggio intitolato Il fluido di Mesmer ha preceduto la scienza delle influenze interpersonali (in Note e Notizie 30-01-21)[1], abbiamo proposto la vicenda epocale del “mesmerismo”, ossia la controversa pratica introdotta a Parigi nel 1778 da Friedrich Franz Anton Mesmer e oggi considerata da molti una sorta di precursore non scientifico dell’ipnosi medica. Come annunciato nel titolo dell’ultimo paragrafo, riprendiamo il filo che porta da Mesmer, attraverso gli studi di Bernheim sulla suggestione, alla concezione di Freud. In tal modo cercheremo di dare una prima risposta storica agli interrogativi dei medici di fine XIX secolo sull’ipnosi, riservandoci una sede successiva per le risposte neuroscientifiche più recenti.

La diacronia degli eventi si presenta come una transizione durata un secolo, dal “magnetismo”, che sembrava quasi un altro nome della magia – gravato come abbiamo visto dalle scabrose rivelazioni riportate nel “Rapporto Segreto” per Luigi XVI da Lavoisier, Franklin e colleghi – a una tecnica impiegata dai più celebri professori di neurologia francesi e sulla quale Jean Martin Charcot aveva fondato un cardine della diagnosi di isteria: la prova di suscettibilità all’ipnosi[2].

Al centro della complessa e affascinante transizione dall’esercizio empirico di un potere ignoto, che produce effetti apparentemente mirabolanti, alla definizione di un oggetto di studio scientifico, abbiamo colto una radice psico-antropologica dicotomica, che vede contrapposti coloro che sono attratti dal mistero a quanti lo rifuggono o lo negano senza affrontarlo. Adottando un paradigma psicologico tradizionale, possiamo riconoscere per entrambe le inclinazioni una versione interpretativa più infantile e una più adulta.

La versione infantile nel primo caso consisterebbe nell’attribuzione preconcetta, ovvero fino a prova del contrario, di qualità magica o sovrannaturale; nel secondo caso consisterebbe, anche qui per pregiudizio, nel considerare l’ipnosi tutto un inganno, una finzione recitativa nata sempre dall’accordo fraudolento dell’ipnotizzatore con l’ipnotizzato. La versione adulta prevede in entrambi gli atteggiamenti l’uso dell’intelligenza analitica finalizzata all’esercizio di un giudizio critico su fatti esperiti o riportati, nel primo caso per comprendere la reale struttura di ciò che appare magico, nel secondo caso per vincere la reticenza e tentare di conoscere i processi che rendono possibili fenomeni quali anestesia, glossolalia, pseudoparalisi, dissociazione, catalessi o fachirismo.

 

Il fenomeno di induzione di uno stato mentale sui generis esiste, ma chi non lo usa lo nega. Il dottor Marshall Hall, nell’Inghilterra di una giovane regina Vittoria, è un esempio di medico irriducibilmente convinto della natura fraudolenta dei fenomeni simili a quelli prodotti dal magnetismo mesmeriano. Milne Bramwell riporta che “Nella contea di Nottingham, nel 1842, il chirurgo Ward amputò un arto inferiore durante una trance mesmerica; il paziente rimase perfettamente tranquillo durante tutta l’operazione e non gli fu visto contrarre un muscolo”. Il caso fu presentato alla Società Reale di Medicina e Chirurgia, dove fu male accolto e si asserì che il paziente doveva essere stato allenato a non mostrare il dolore che necessariamente aveva provato. Ma qualcuno suppose un inganno più grave: “Il dottor Marshall Hall dichiarò che l’uomo era un impostore perché era stato assolutamente tranquillo durante l’operazione”[3].

La principale istituzione medica britannica si era dunque rifiutata di occuparsi del fenomeno, considerandolo impossibile.

Ma torniamo indietro nel tempo, al secolo precedente, quando i racconti di effetti di influenza insolita sulla fisiologia del corpo continuavano a moltiplicarsi in tutta Europa. Molti avevano seguito il gesuita Hehl che, ipotizzando azioni dei campi magnetici sul nostro organismo, aveva creduto nel potere magnetico di particolari placche, e a tale ipotesi sembra si sia ispirata l’idea del magnetismo dello stesso Mesmer, ma coloro che esercitavano ufficialmente con approvazione ecclesiastica pratiche di cura senza la mediazione materiale di farmaci o strumenti chirurgici erano i prelati che seguivano l’esempio di padre Gassner.

Johann Joseph Gassner (1727-1779) era un sacerdote cattolico passato alla storia come esorcista, che dichiarava di curare gli ammalati solo col mezzo della preghiera; una pregevole stampa sacra ci tramanda la sua immagine nell’atto di porre la mano sul capo di un anziano penitente affetto da infermità motoria. Sulla base di alcune ricostruzioni storiche, il metodo che adottava nell’approccio agli ammalati è stato interpretato come una forma di esercizio ipnotico. Se si legge che vi fu una disputa fra Gassner e Mesmer, che addirittura Ellenberg ha considerato al centro della moderna psicoterapia[4], è anche riportato che Mesmer si sia sempre rifiutato di incontrare Gassner.

Con queste premesse, ossia aneddoti mai verificati, poteri magnetici inesistenti e pratiche spirituali di esorcisti, si comprende che le tecniche di influenza interpersonale siano state a lungo combattute dalle maggiori istituzioni mediche del vecchio continente. Poi, poco per volta, prevalse l’atteggiamento di attenzione e si decise di mettere alla prova i fenomeni studiandoli con analisi rigorose.

Émile Boirac, psicologo, filosofo ed esperantista, noto per aver coniato l’espressione déjà vu per denominare l’esperienza soggettiva di aver già vissuto esattamente quanto sta accadendo[5], eseguì una serie di esperimenti finalizzati a dimostrare l’influenza del corpo di una persona su quello di un’altra; influenza non mediata dal cervello del ricevente. Ad esempio, avvicinando la mano destra al braccio di un uomo bendato, sembrava che l’arto di questi si movesse per attrazione; gli effetti della mano destra risultavano diversi da quelli prodotti dalla mano sinistra, che induceva parestesie al braccio. Tentò anche l’esperimento del pendolo, in cui l’intero corpo di un uomo bendato seguiva la sua mano che si allontanava. Infine, sperimentò il potere di indurre anestesia con l’imposizione delle mani[6]. Inutile sottolineare che la ripetibilità dei risultati di questi esperimenti risultava sempre molto problematica.

Dopo questi tentativi, gli studi migliori si devono alla scuola di Nancy, ma negli anni seguenti i progressi nella definizione razionale, se non scientifica, dei fenomeni ipnotici segnano il passo, e si assiste a una progressiva perdita di interesse generale. Per un tentativo organico di sistematizzazione si dovrà aspettare infatti il 1921, anno in cui Freud pubblica Al di là del principio di piacere, in una temperie in cui l’impianto teorico della psicoanalisi freudiana è diventato cultura egemone e l’ipnosi come terapia sembra emergere dai ricordi di un lontano passato prescientifico, evocato da una pratica ritornata nelle mani di empirici al margine della cultura medica[7].

 

Importanza e attualità del contributo di Hippolyte Bernheim su suggestione e ipnosi.

Sebbene alle soglie del ventesimo secolo non si correva il rischio che qualcuno potesse ancora invocare l’intervento dell’energia astrale o l’esistenza di un “fluido magnetico animale” che si trasmette da un corpo all’altro, la pratica ipnotica rimaneva avvolta dal mistero. Infatti, bandita da molte istituzioni mediche accademiche e discreditata dai seguaci del positivismo[8], la sua rappresentazione sociale era affidata agli illusionisti, che la impiegavano in esibizioni pubbliche e, soprattutto, in spettacoli teatrali accuratamente progettati e allestiti per impressionare il pubblico, suggerendo fenomeni strabilianti, occulti o, come si dice oggi, paranormali, quali levitazioni, bilocazioni, dematerializzazioni, mediazioni con l’aldilà o entrata di anime di defunti nel corpo di persone in trance capaci di parlare con la loro voce. Una donna sotto ipnosi poteva essere indotta a impersonare una regina, una principessa o un’altra celebrità defunta, alimentando la reputazione irrazionale di stato mediano fra la vita e la morte, tra il mondo fisico percepito dai sensi e un mondo extrasensoriale di spiriti disincarnati o fantasmi.

È proprio questa associazione dell’ipnosi a fenomeni presentati come non spiegabili sulla base delle conoscenze scientifiche e delle interpretazioni razionali fondate sul buon senso, a indurre Bernheim ad assumere una posizione netta, categorica e perfino drastica:

“Cos’è dunque l’ipnotismo? Mi capita spesso di affermare: non c’è ipnotismo. Credono che voglia essere paradossale, che faccia una battuta umoristica. Eppure è questa la mia opinione di fondo. L’ipnotismo non esiste”[9].

Potremmo così tradurre questa formula estrema: se per ipnosi si intende uno stato psichico fuori dell’ordinario indotto da mezzi particolari, allora l’ipnosi non esiste. E infatti Bernheim, grande esperto nella pratica dell’induzione ipnotica, riesce con argomentazioni molto convincenti a riportare i contenuti delle esperienze di ipnosi medica – costituiti prevalentemente da istruzioni per eliminare manifestazioni sintomatologiche – ad una fisiologica qualità intrinseca del nostro cervello: la suggestionabilità.

Il maggior merito di Hippolyte Bernheim, campione della scuola di Nancy rivale della Salpêtrière di Charcot, è senz’altro consistito nel ricondurre tutto al cervello, sgombrando il campo da qualsiasi tentazione irrazionale per spiegare l’induzione ipnotica e i fenomeni straordinari che hanno luogo in quello stato di alterata coscienza.

Per illustrare i punti chiave del contributo di metodo e chiarezza fornito da Bernheim non abbiamo trovato un modo migliore del diretto riferimento alle sue parole tratte da L’ipnotismo e la suggestione nei loro rapporti con la medicina legale, un volume scritto nel 1897 a beneficio ed uso dei medici legali, perché potessero conoscere quanto realmente si era compreso del fenomeno ipnotico e operare col discernimento necessario alle consulenze per i casi di reati perpetrati da persone in ipnosi o connessi con quella pratica.

Così Bernheim riassume quanto era accaduto dal tempo di Mesmer: “I primi medici che scoprirono questa proprietà del cervello umano la costatarono soltanto in seguito a certe manipolazioni esercitate sul corpo e credettero che tali manipolazioni o induzioni creassero un nuovo stato dell’organismo che chiamarono magnetico […] Più avanti Braid osservò che la fissazione di un punto brillante, agendo sull’occhio e sul cervello, produce un sonno particolare e che in questo sonno vengono provocati fenomeni uguali a quelli realizzati dagli antichi magnetizzatori. La suggestionabilità, l’allucinabilità erano create di sana pianta dal braidismo o ipnotismo che sostituiva il vecchio magnetismo”[10].

Prima di continuare la lettura di Bernheim apriamo una breve ma necessaria parentesi biografica sul celebre medico citato. James Braid (1795-1860), un chirurgo ortopedico scozzese che aveva innovato le tecniche di intervento alle ginocchia e alla colonna vertebrale, definito “scienziato gentiluomo” e teorico di scienze naturali, era approdato all’uso dell’indebolimento della coscienza mediante fissazione dello sguardo e suggestione a scopo anestetico, per ridurre la sofferenza dei suoi pazienti; per la stessa ragione è stato anche un pioniere dell’anestesia chimica[11]. Una tradizione ripresa da molti attribuisce a lui il conio dei termini “ipnosi” e “ipnotismo” che erano, tuttavia, già in uso. In Francia, per distinguere la tecnica di induzione da lui introdotta si prese a parlare di “braidismo”. Riprendiamo la lettura:

“Successivamente, il signor Liébelault costatò che la fissazione di un punto brillante o braidismo non era affatto necessaria[12] al fine di provocare il sonno ma era sufficiente la sola idea del sonno indotta nel soggetto; inoltre la fissazione di un punto brillante che agisce solo per suggestione e il sonno provocato a sua volta non sono che un fenomeno di suggestione.

In seguito, ho stabilito definitivamente che il sonno provocato non è necessario, che i soggetti molto suggestionabili lo sono allo stato di veglia; e inoltre che quanto si era attribuito al magnetismo, all’ipnotismo, al sonno suggerito non è altro che una normale proprietà del cervello umano, più o meno sviluppata a seconda dei soggetti, e cioè la suggestionabilità”[13].

Bernheim, proseguendo, esprime rammarico per il fatto che la suggestionabilità degli individui fosse stata scoperta attraverso le “grossolane pratiche del magnetismo”, perché se fosse stata accertata indipendentemente non si sarebbe avuto il problema del legame ancora molto forte nella cultura popolare e di élite[14] con le esibizioni dei magnetizzatori che manipolavano la volontà delle persone attraverso un’energia sconosciuta.

Se fosse esistita una teoria indipendente della suggestione, dichiara Bernheim, i termini magnetismo e ipnotismo “non avrebbero alcun motivo di essere; si preciserebbe semplicemente che alcuni soggetti, poco suggestionabili allo stato di veglia, lo diventano subito quando sia possibile suggerire loro preliminarmente l’idea del sonno, mentre nei soggetti molto suggestionabili, una tale suggestione preliminare non è affatto necessaria”[15].

Poi, insofferente per le teatrali esibizioni di ipnosi delle pazienti isteriche della Salpêtrière, dà una stoccata anche a Charcot: “L’idea di suggestionabilità non sarebbe associata a quella d’isteria e la dottrina della suggestione non sarebbe oscurata dall’idea misteriosa e antifisiologica che si riallaccia ai termini magnetismo e ipnotismo”[16].

Dunque, tutto è nella suggestione. Ma cosa intende Bernheim per suggestione? Ecco la risposta: “Ho definito suggestione ogni idea accettata dal cervello”[17].

Difficile immaginare una formulazione più chiara, diretta e generale di questa. Segue poi una convinzione della scuola di Nancy proposta nel modo più sintetico e scientifico possibile: “Abbiamo stabilito che ogni suggestione tende a realizzarsi, che ogni idea tende a farsi atto. Tradotto in termini fisiologici, questo vuol dire che ogni cellula cerebrale azionata da un’idea aziona le fibre nervose che devono realizzare questa idea”[18].

Questa tendenza alla realizzazione costituirebbe il nucleo funzionale della suggestionabilità, che viene ulteriormente definita: “La suggestionabilità è una proprietà fisiologica del cervello umano. Ma in condizioni normali […] è limitata dalle facoltà superiori del cervello, le facoltà di ragione, l’attenzione, il giudizio che costituiscono il controllo cerebrale. […] Tutto ciò che diminuisce l’attività delle facoltà di ragione, tutto ciò che sopprime o attenua il controllo cerebrale, rafforza la suggestionabilità, ossia aumenta l’attitudine del cervello ad accettare e a realizzare l’idea”[19].

Seguono gli esempi di tutto ciò che indebolisce il controllo cerebrale, a cominciare dal sonno naturale. Poi, Bernheim ritorna sulla questione delle persone con un alto grado di suggestionabilità che si lasciano influenzare da semplici richieste, suggerimenti o comandi in perfetta coscienza, senza bisogno di ipnosi. In altre parole, basandosi sull’esperienza personale, sostiene che i soggetti ipnotizzabili possono essere suggestionati anche senza ipnosi, mentre i più resistenti al sonno ipnotico saranno in ogni caso sempre poco suggestionabili. Non è irrilevante notare quanto tenga a smentire la pericolosità adombrata da molti medici[20], che considerano lo stato ipnotico antifisiologico o addirittura patologico ed equivalente a una nevrosi provocata. In proposito, rassicura tutti coloro che ne vogliano fare esperienza con un’affermazione apodittica e lapidaria: “Tale concezione risulta erronea”[21].

 

Sigmund Freud e la pratica dell’ipnosi per la terapia dei disturbi mentali. In una lettera del 28 dicembre 1887 indirizzata a Wilhelm Fliess, Freud dichiara di essere immerso nell’ipnotismo e dedito alla pratica ipnotica, grazie alla quale ha ottenuto piccoli ma sorprendenti successi, e poi scrive: “Sto traducendo il libro di Bernheim sulla suggestione. Non mi consigli di non farlo, perché ho già firmato il contratto”[22].

Freud, in realtà, era stato attratto dall’ipnosi fin da ragazzo quando, secondo Ernest Jones, aveva assistito a una seduta pubblica del magnetizzatore Hansen: notando il cambiamento di colore cutaneo di uno dei volontari ipnotizzati, si convinse che non si trattava di un complice dell’ipnotista che recitava una parte, ma di una persona che presentava un reale cambiamento fisiologico. Era dunque certo di non aver assistito a un inganno da illusionisti di piazza o di teatro e, con ogni probabilità, si era già allora prefisso di studiare il fenomeno[23].

Dai documenti si può dedurre che, durante tutto il 1888 e nei primi mesi del 1889, Freud studia intensamente l’ipnosi e i suoi fenomeni; secondo alcuni praticandola attivamente[24], anche se nelle sue parole non troviamo conferma. Infatti, il primo di maggio del 1889, quando è chiamato per curare la signora Emmy von N.[25], non aveva ancora impiegato il metodo “catartico” messo a punto da Josef Breuer, come lui stesso racconta:

“Era un’isterica, e poteva essere posta in stato di sonnambulismo con la più grande facilità; e quando me ne accorsi decisi di applicare su di lei il procedimento di Breuer dell’esplorazione sotto ipnosi, procedimento che conoscevo dalle comunicazioni dello stesso Breuer sulla storia della guarigione della sua prima paziente. Era il mio primo tentativo nel maneggiare tale metodo terapeutico ed ero ancora ben lungi dall’averne padronanza”[26].

Dopo qualche mese, durante l’estate del 1889, Freud parte per la Francia, dove ha intenzione di perfezionare la sua tecnica ipnotica, ma questa volta non andrà da Charcot presso la Salpêtrière, ma si rivolgerà alla scuola rivale, quella di Nancy, il cui esponente più prestigioso è proprio Bernheim, del quale Freud ha tradotto il saggio sulla suggestione. La principale ragione di questa scelta sembra sia stata la propensione della scuola di Nancy all’analisi dell’influenza sul cervello esercitata dalla suggestione mediante parole.

Freud assiste a quelli che definisce gli “straordinari esperimenti di Bernheim sui malati dell’ospedale”, la cui importanza nell’elaborazione della sua teoria dell’inconscio si può facilmente dedurre dalle sue stesse parole: “Ne riportai indelebili impressioni e finii per supporre la probabile esistenza di processi psichici presenti che restavano, tuttavia, nascosti alla coscienza dell’uomo”[27].

Se si segue il filo cronologico dei casi clinici pubblicati, tre anni dopo quell’esperienza non vi è traccia del ricorso all’ipnosi per il trattamento di Miss Lucy R. e di Elisabeth von R. (1892).

Il metodo catartico del suo amico e collega Josef Breuer non era concepito in una chiave direttiva, come le procedure ipnotiche utilizzate dai colleghi francesi, che sfruttavano il cambiamento di stato di coscienza per impartire degli ordini o suggestioni che facessero scomparire i sintomi. Freud, seguendo Breuer, impiega l’ipnosi per ottenere informazioni sulla psiche del paziente, per poter accedere alla sua dimensione inconscia e tentare di analizzarla; questo fine contrasta con la procedura ipnotica classica che mira ad ottenere la passività, inibendo la libera espressione dei contenuti psichici in quella particolare condizione di ridotto controllo cosciente, pertanto non meraviglia l’abbandono della tecnica suggestiva. Era mutato in Freud il fine da perseguire con il mezzo dell’ipnosi: lo scopo non era più la modificazione dei contenuti mentali della persona, prescindendo dalla sua personalità, ma la conoscenza dei processi psichici profondi per orientare specificamente un intervento terapeutico.

Ma, ci si può chiedere, perché Freud abbandona del tutto l’ipnosi? La risposta potrebbe essere semplice: perché ha trovato mezzi migliori per accedere all’inconscio del paziente. Questa semplificazione ci porta al pensiero dei Greci, che Freud tanto amava, e che così schematizzava nella teoria ippocratica i due principali orientamenti per la diagnosi e la terapia: si può accedere direttamente all’interno del corpo malato con la chirurgia o desumere da analisi e indagini lo stato interiore. In questo senso, l’ipnosi era paragonabile a un atto chirurgico, la psicoanalisi a un atto medico.

Leggendo gli Studi sull’isteria, troviamo però altre buone ragioni per l’abbandono dell’ipnosi da parte di Freud: la suscettibilità all’ipnosi riguardava un numero ristretto di persone e il fallimento dell’induzione ipnotica poteva causare una perdita di prestigio agli occhi del paziente[28]; la cattiva fama dell’ipnosi, quale pratica per curare deboli di mente e malati immaginari, che circolava nei migliori salotti, costringeva a dissimularne l’uso; infine, la concezione del rapporto medico-paziente che avevano gli ipnotisti era estranea allo stile e alla cultura medica del fondatore della psicoanalisi.

A proposito del fastidio che provava nell’indurre l’ipnosi senza dichiararlo, Freud scrive: “Del resto mi ero presto stancato, dopo l’assicurazione e il comando: «Lei dormirà… dorma!», di sentirmi sempre obiettare, nei casi più leggeri di ipnosi: «Ma, signor dottore, io non sto dormendo!», e di essere poi costretto a tirar fuori l’imbarazzante distinzione: «Già, ma io non intendo il sonno comune, intendo l’ipnosi. Vede, lei è ipnotizzato, non riesce più ad aprire gli occhi», eccetera. «Del resto non è affatto necessario che lei dorma», e cose simili”[29].

E conclude indicando nell’abbandono dell’ipnosi la drastica soluzione del problema: “Trovo però che, se ci si deve attendere con tale frequenza di trovarsi in imbarazzo per l’uso di una tale parola, val meglio evitare tanto la parola quanto l’imbarazzo”[30].

Più di vent’anni dopo, in uno scritto in cui la teoria psicoanalitica affronta il problema della psicologia collettiva e dell’analisi della parte cosciente della mente di ciascuno, Freud ricorda la sua opposizione allo stile autoritario dei medici maestri in tecniche ipnotiche che esigevano la sottomissione del paziente, più che la semplice obbedienza: “Quando un malato che non si dimostrava arrendevole veniva redarguito con le parole: «Ma che cosa fa? Vous vous contre-suggestionnez!», mi dicevo che questa era una palese ingiustizia e un atto di violenza. Se si tentava di soggiogarlo con la suggestione, l’uomo aveva certamente il diritto di controsuggestionarsi[31].

Queste parole fanno immediatamente pensare all’atteggiamento rispettoso, silenzioso e prudente dello psicoanalista, che si vuole inizialmente indotto dal celebre “Stia zitto! Non parli! Non mi tocchi!” della paziente Emmy von N., e poi sviluppato da Freud coll’intento di definire uno stile comportamentale in grade di incoraggiare la serenità confidente del paziente, favorendo uno stato mentale idoneo a far emergere i contenuti psichici profondi.

Dunque, si può affermare che il teorico dell’inconscio patogeno e ideatore della maturazione mentale in termini di tappe di sviluppo libidico abbia considerato l’ipnosi più un mezzo per acquisire elementi di conoscenza generale sulla fisiologia psichica, che uno strumento terapeutico adatto al trattamento della malattia mentale[32].

Si legge, infatti, in uno scritto non citato di frequente ma tutt’altro che trascurabile: “Dobbiamo essere grati alla vecchia tecnica ipnotica, poiché in essa si presentano in forma isolata e schematica alcuni singoli meccanismi psichici dell’analisi. Solo su una tale base abbiamo potuto arrischiarci a creare noi stessi nella cura analitica situazioni complesse che hanno tuttavia serbato la loro trasparenza[33].

La differenza concettuale tra una terapia che si basa sulla suggestione e la psicoanalisi è fornita dallo stesso Freud in Psicoterapia con un suggestivo esempio, tratto dalla tradizione dell’arte italiana:

“In realtà, tra la tecnica della suggestione e quella analitica esiste la più grande antitesi, quell’antitesi che il grande Leonardo da Vinci ha compendiato, per quanto riguarda le arti, nelle formule «per via di porre» e «per via di levare». La pittura, dice Leonardo, opera «per via di porre»: essa applica cioè piccole masse di colore là dove prima non c’erano, sulla tela incolore; la scultura, per contro, procede «per via di levare», ossia toglie dal blocco di pietra quel tanto che copre la superficie della statua in esso contenuta. In maniera del tutto analoga, Signori, la tecnica della suggestione cerca di agire «per via di porre», non curandosi della provenienza, della forza e del significato dei sintomi patologici, ma sovrapponendovi qualcosa, vale a dire la suggestione, dalla quale essa si attende che sia abbastanza forte da impedire all’idea patogena di manifestarsi. La terapia analitica, invece, non vuol sovrapporre né introdurre alcunché di nuovo, bensì toglier via, far venir fuori, e a tale scopo si preoccupa della genesi dei sintomi morbosi e del contenuto psichico dell’idea patogena che mira a eliminare”[34].

Bisogna riconoscere la notevole efficacia esplicativa nella rappresentazione della differenza, anche se non possiamo mancare di osservare che, pur concependo la mente secondo modelli del tutto nuovi[35], Freud continua collocare come gli ipnotisti l’origine dei disturbi nella dimensione della rappresentazione simbolica del “mentale”. Considerando le sue ingegnose e originali interpretazioni dei fenomeni psicopatologici delle vere e proprie scoperte, alla pari di quelle compiute in quegli anni dai pionieri dell’anatomia microscopica del cervello, ritiene il metodo psicoanalitico una impareggiabile risorsa e, infatti, prosegue:

“Con questo indirizzo di ricerca essa ha fatto enormemente avanzare le nostre cognizioni”[36].

Poi Freud difende anche il valore terapeutico della psicoanalisi e delle interpretazioni condivise col paziente, capaci di sciogliere i nodi sintomatici generati per conflitto dall’inconscio patogeno:

“Ho abbandonato così presto la tecnica della suggestione, e con essa l’ipnosi, perché disperavo di poter rendere la suggestione tanto forte e resistente quanto sarebbe occorso per una guarigione duratura. In tutti i casi gravi ho visto sgretolarsi la suggestione che vi era stata sovrapposta, dopo di che ricompariva la malattia o qualcosa che la sostituiva”[37].

Poi, condanna il limite intrinseco dell’ipnosi quale terapia che prescinde dalla conoscenza della psiche del paziente:

“A questa tecnica rimprovero altresì di impedirci la comprensione del giuoco delle forze psichiche, ad esempio di occultarci la resistenza con la quale i malati si tengono aggrappati alla loro malattia, con la quale lottano persino contro la guarigione, e che pure è la sola che ci consenta di intendere il loro comportamento nella vita”[38].

Concludendo questo approfondimento sul rapporto che Freud ebbe con l’ipnosi e sul ruolo marginale, anche perché metodologicamente antitetico, che l’induzione di commutazione dello stato di coscienza ha avuto nello sviluppo dell’approccio psicoanalitico alla diagnosi e alla cura del paziente psichiatrico, non possiamo trascurare un breve commento su una differenza radicale tra la concezione freudiana della psicopatologia e la concezione medica a quel tempo corrente.

Fra le convinzioni popolari più radicate sulla malattia mentale vi era il ruolo patogeno di contenuti mentali che avrebbero avuto un impatto troppo forte o avrebbero occupato troppo spazio mentale nel corso della vita, finendo per far “impazzire” il paziente. La medicina aveva da tempo superato questa ingannevole e ingenua credenza, sostenendo che le cause dei disturbi mentali fossero da ricercarsi nel modo anomalo di funzionare e reagire del cervello e non nelle idee o in altri prodotti dell’attività mentale. Dunque, quando Freud dice che la psicoanalisi si occupa “del contenuto psichico dell’idea patogena che mira a eliminare”, mostra di avere una concezione più vicina a quella popolare che a quella medica. Era già accaduto per i sogni, cui la cultura popolare attribuiva significati mentre l’opinione medica corrente considerava un prodotto di risulta del riordino funzionale del cervello durante il sonno: nell’Interpretazione dei sogni (1900)[39] Freud illustra il valore dei due livelli di significato, quello letterale o contenuto manifesto del sogno, e quello simbolico, o contenuto latente, da decodificare secondo la sua concezione psicoanalitica: nasce lo zweideutig, ossia il doppio senso che l’inconscio conferisce potenzialmente a ogni contenuto mentale.

 

Conclusione. Le due principali risposte giunte nella storia alle domande dei medici su cosa fosse l’ipnosi possono così essere sintetizzate: una tecnica che rivela una proprietà fisiologica del cervello (Bernheim); un mezzo per accedere all’inconscio con notevoli limiti (Freud). Le risposte della scienza, peraltro non ancora complete e conclusive, saranno oggetto di uno specifico approfondimento.

Con questo excursus, che ha preferito il valore della documentazione storica all’esercizio dell’analisi critica alla luce delle conoscenze attuali, abbiamo completato la prima parte dell’iter introduttivo al lavoro nel nuovo campo tematico intitolato “Influenza interpersonale in medicina: dalla dimensione del magico alla scienza”. Augurandoci di aver fornito ai nostri lettori elementi di interesse e spunti per ulteriori riflessioni, prendiamo temporaneamente congedo.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Monica Lanfredini & Giuseppe Perrella

BM&L-06 febbraio 2021

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Si consiglia la lettura di questo breve saggio che ha attinto direttamente alle fonti documentali, correggendo errori riportati in molte biografie di Mesmer (verosimilmente compilate per copia modificata dello stesso testo) e rivelando aspetti sostanzialmente inediti, che aiutano a comprendere l’atteggiamento apparentemente contraddittorio col quale la pratica del “magnetismo animale” veniva considerata dalla società frequentata da Mozart, Haydn, Salieri e Gluck, tra i musicisti, e dalla Vigée Le Brun e David tra i pittori, oltre che dagli scienziati già menzionati.

[2] Fino a qualche decennio fa, quando esisteva ancora la categoria nosografica della nevrosi isterica, la suscettibilità all’ipnosi era conservata fra i criteri diagnostici. In realtà, esiste una quota di persone, in maggioranza costituita da donne, che tende facilmente alla reazione dissociativa e presenta un’elevata suscettibilità all’ipnosi, potendo entrare in stato ipnotico anche spontaneamente. In tali persone si rilevano caratteri di fisiologia psichica simili a quelli in passato attribuiti alla personalità isterica.

[3] Milne Bramwell, cit. in Flavio Manieri, Saggio introduttivo a Ipnotismo e psicoanalisi, p. 1, Newton Compton, Roma 1972.

[4] Cfr. Henri Ellenberg, Discovery of the Unconscious. Basic Books, New York 1970.

[5] Frequente nei bambini e raro negli adulti è stato in passato attribuito a immaturità del lobo temporale, anche perché presente nell’aura di crisi epilettiche originate da focolai siti in quel lobo. Evidenze sperimentali hanno suggerito nuove interpretazioni, ma la ricerca non ha ancora individuato con precisione i meccanismi.

[6] Cfr. Flavio Manieri, op. cit., p. 2.

[7] Alrutz S., Problems of Hypnotism. Proceedings of the Society of Psychical Research 32 (83): 151-179, 1921. Mentre la psicoanalisi aveva ridisegnato la concezione della psiche e i neurologi studiavano al microscopio il rapporto tra la forma dei neuroni e la loro fisiologia, Alrutz era tornato a postulare l’esistenza di una “emanazione umana” di natura corpuscolare e non vibratoria, la cui trasmissibilità dipende dalla natura dei materiali interposti e il cui effetto è eccitante se trasmessa dal basso verso l’alto e calmante se dall’alto verso il basso (!).

[8] In Belgio e in altri stati europei esistevano rigide restrizioni per l’esercizio dell’ipnosi e severe sanzioni per i contravventori.

[9] Hippolyte Bernheim, L’ipnotismo e la suggestione nei loro rapporti con la medicina legale. Doin, Paris 1897: Primo Capitolo: Definizione e concezione della suggestione e dell’ipnotismo, p. 248 nella traduzione italiana di Bruno Rescio riprodotta nel volume “Ornicar? Bollettino periodico del Campo freudiano”, nn. 1-11 e suoi supplementi (Analytica-melanges nn. 1-5), Marsilio Editori, Venezia 1978.  

[10] Hippolyte Bernheim, op. cit., p. 250.

[11] La bibliografia su James Braid in lingua inglese è letteralmente monumentale; per queste poche notizie biografiche ci siamo rifatti a Yeats (2013, 2018). Kroger (2008) e Robertson (2009) lo definiscono “padre dell’ipnosi”.

[12] Nel Novecento la fissazione di un punto luminoso che oscilla, per associare l’affaticamento dato dai movimenti degli occhi alla fissazione, viene conservata solo come test di suscettibilità ipnotica e non per l’induzione dell’ipnosi, come si vedeva in molti film del passato.

[13] Hippolyte Bernheim, ibidem.

[14] Gli ipnotisti di teatro invocavano sistematicamente il loro “magnetismo”, perché sapevano che nella memoria dei nobili era legato al paradiso perduto dei salotti dell’epoca prerivoluzionaria. Ancora oggi degli artisti di strada a Parigi, dopo aver detto il classico: “A me gli occhi!”, sostengono di averti “magnetizzato”. L’espressione “sguardo magnetico” è rimasta in tutto il mondo.

[15] Hippolyte Bernheim, ibidem.

[16] Hippolyte Bernheim, op. cit., p. 251.

[17] Hippolyte Bernheim, op. cit., p. 243.

[18] Hippolyte Bernheim, op. cit., ibidem.

[19] Hippolyte Bernheim, op. cit., p. 245.

[20] Preoccupazione che oggi sappiamo non infondata, al punto che esistono precise controindicazioni.

[21] Hippolyte Bernheim, op. cit., p. 248.

[22] Sigmund Freud, Le origini della psicoanalisi. Lettere a Wilhelm Fliess (1887-1902), p. 61, Boringhieri, Torino 1968.

[23] Cfr. Ernest Jones, Vita e opere di Freud, I – Gli anni della formazione e le grandi scoperte, p. 289, Il Saggiatore, Milano 1966. Secondo Jones, durante le settimane dell’estate 1885 trascorse presso la clinica privata di Obersteiner, Freud aveva già tentato esperimenti ipnotici, anche se questa supposizione è in contrasto con quanto affermato nel caso di Emmy von N. (v. dopo).

[24] Gerard Miller, Una nota su Freud e l’ipnosi, pp. 224-227, in “Ornicar? Bollettino periodico del Campo freudiano”, nn. 1-11 e suoi supplementi (Analytica-melanges nn. 1-5), Marsilio Editori, Venezia 1978.

[25] Emmy von N. era lo pseudonimo della baronessa svizzera Fanny Moser, nata nel 1848 e battezzata Fanny Louise von Sulzer-Wart, poi coniugata col barone Johann Heinrich Moser. Morì a Kilchberg (Zurigo) nel 1925. Le terapie psichiatriche erano in genere tenute segrete; poi si è ricostruito che era stata in cura con il celebre neuroanatomista Forel prima di Freud. Una lettera di sua figlia a Freud consentì novanta anni dopo di aggiungere elementi al caso clinico (O. Andersson, Psychoanalytic Review 2 (5): 14, 1979).

[26] Sigmund Freud, Studi sull’isteria (1893-1895), in Opere, I, p. 213, Boringhieri, Torino 1967.

[27] Sigmund Freud, Storia della mia Vita, in La mia vita e la psicoanalisi, p. 27, Mursia, Milano 1970.

[28] Si ricorda che la richiesta di fissare, senza distogliere lo sguardo, un pendolino luminoso che oscilla – passato al grande pubblico dalla cinematografia come mezzo di induzione dell’ipnosi – è in realtà un test di suscettibilità ipnotica, al quale peraltro molti si rifiutavano di sottoporsi.

[29] Sigmund Freud, Studi sull’isteria (1893-1895), in Opere, I, op. cit., p. 265.

[30] Sigmund Freud, Studi sull’isteria, ibidem.

[31] Sigmund Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), in Opere, IX, p. 279, Boringhieri, Torino 1977.

[32] Anche perché i sintomi eliminati attraverso suggestioni ipnotiche riapparivano dopo un po’ di tempo o venivano subito sostituiti da altri equivalenti.

[33] Sigmund Freud, Ricordare, ripetere e rielaborare (1914), in Opere, VII, p. 35, Boringhieri, Torino 1975.

[34] Sigmund Freud, Psicoterapia (1904/1905), in Opere, IV, pp. 432 e sgg., Boringhieri, Torino 1970.

[35] Si fa riferimento al modello topologico della psiche con le sue ripartizioni in Es, Io e Super-Io, e al modello energetico della psiche, basato sostanzialmente sui concetti freudiani di libido (da liebe = amare) e pulsione (“spinta a metà fra l’organico e lo psichico”).

[36] Sigmund Freud, Psicoterapia (1904/1905), in Opere, IV, ibidem.

[37] Sigmund Freud, Psicoterapia (1904/1905), in Opere, IV, ibidem.

[38] Sigmund Freud, Psicoterapia, ibidem.

[39] Non tutti sanno che l’opera, della quale esiste una prima versione di saggio stampata in tedesco (Die Traumdeutung) già nel 1898, fu edita l’anno seguente ma intenzionalmente datata dallo stesso Freud “1900”, perché riteneva che i contenuti avrebbero segnato indelebilmente il nuovo secolo.